Quella che segue è la testimonianza di un biologo che si trova, come i suoi colleghi, alle prese con il Covid-19.
Quella del biologo è da sempre una figura enigmatica: vive ai “confini del Regno”, nella striscia di terra che separa il macro dall’infinitesimamente micro, il tangibile dal magico, maneggia provette, combina fluidi, brucia polveri, e legge significati in misture che per i più sono solo ‘acqua’.
Insomma, fino a qualche tempo fa il biologo poteva essere nel migliore dei casi un odierno Mago Merlino, nel peggiore un invisibile elfo a servizio dei medici e delle loro ipotesi diagnostiche. Oggi, per la prima volta nell’epoca moderna e grazie al COVID-19, il biologo e più in generale la biologia hanno finalmente il ruolo che spetta loro; finalmente tutti vogliono sapere di anticorpi, biologia molecolare, RNA, PCR, sierologia; improvvisamente è chiara la differenza tra batteri e virus.
In questo momento, come con una moderna Pizia con le sue ancelle, l’ultima e la più attesa parola di ogni giorno è quella del biologo e dei suoi tecnici laboratoristi, ‘oracolo’ al servizio della comunità: gente comune, politici, protezione civile, persino l’alta finanza lo attendono con ansia e speranza.
Ma com’è la vita del biologo ai tempi del Coronavirus? In questi ultimi 50 giorni la routine nei laboratori degli ospedali si è stravolta. Restano un lontano ricordo i turni di 6 ore e il riposo notturno. Ora fiumi di centinaia e centinaia di tamponi invadono l’accettazione e con essa anche le vite degli operatori.
I turni sono diventati di 12, 13 finanche 15 ore al giorno: la giornata lavorativa si conclude solo quando TUTTI i tamponi da analizzare sono finiti. È una corsa senza sosta al test e alla refertazione.
E mentre si corre, sperando di collezionare quanti più “NEGATIVO” possibile, può arrivare la notizia che il paziente è deceduto: non sai chi sia, non lo conosci, eppure senti di averlo perso, di non aver fatto in tempo, le lacrime scivolano giù sotto la mascherina, le asciughi in fretta, devi andare avanti, non puoi e non devi fermarti, anche se sei sfinito, perché il lavoro è ancora tanto e lungo.
Sì, perché per stabilire la positività o la negatività di ogni nuovo paziente è necessaria un’analisi lunga, minuziosa e -come tutti dovremmo aver capito in questi ultimi quaranta giorni- anche costosa.
In breve, quando un nuovo campione arriva in laboratorio, deve essere prima di tutto contrassegnato e catalogato, poi si esegue una fase iniziale di estrazione dell’acido nucleico RNA. La fase successiva vede coinvolti alcuni enzimi che trasformano l’RNA in DNA e successivamente, nella fase detta di “amplificazione”, si cerca di “stanare” il virus attraverso le tracce di materiale genetico che ha eventualmente seminato nel suo ospite. È un avvicendarsi di numeri, curve, soglie. Ogni fase ha le proprie difficoltà e i propri imprevisti. E sono necessarie ottima manualità, esperienza e attenzione per poter eseguire ognuna di esse e l’intero processo correttamente. A complicare il quadro, già molto impegnativo, il fatto che non sempre i laboratori dispongono dei reagenti e degli strumenti necessari per effettuare i test. In queste settimane migliaia di biologi e tecnici di laboratorio, oltre a un ordinario, si fa per dire, lavoro di analisi, stanno anche facendo uno straordinario lavoro per mettere a punto nuove metodiche e nuovi flussi per sopperire alle mancanze.
Insomma, quando si è a buon punto, si è solo a metà dell’opera.
In questi tempi difficili, che ci hanno obbligato a tornare consapevoli -delle nostre azioni, delle nostre interazioni, dello spazio, del corpo, del mondo, dei nostri bisogni e delle nostre risorse, dei nostri limiti, del potere della Natura- è importante estendere tale consapevolezza anche a tutte le numerose categorie del Sistema Sanitario che stanno facendo più dell’impossibile per la comunità, per garantire la sopravvivenza del Paese e il superamento della crisi.
Una consapevolezza che ci renda più ‘padroni’ della vita e di noi stessi, ma anche della profonda interdipendenza che esiste tra ogni essere vivente, anche quando invisibile perché vive con riservatezza ai confini del regno.
E ci si augura che tale consapevolezza porti con sé il rispetto e la gratitudine, verso ogni forma di contributo, anche di quello che non fa clamore.
Marlena Levante – Biologa