L’ansia e lo stress sono le conseguenze più marcate e percepite durante la pandemia da Covid-19.
La quarantena, da poco terminata, è stata una misura estrema, una misura ragionata e, in qualche modo, volontaria. Nonostante questo, però, non ha perso la sua condizione di scelta innaturale o potremmo dire contronatura, cioè contro la natura animale che ancora alberga in noi. Questa nostra natura primitiva è regolata da specifici circuiti cerebrali, che sanno produrre reazioni rapide e comportamenti semplici ma efficaci.
L’obiettivo di tutto questo lavorio è il benessere e la sopravvivenza dell’animale stesso, del suo corpo, di noi. Per quell’animale la quarantena non è stata niente di più e niente di meno che una prigionia. Quindi, per quanto ci si possa essere sforzati di trasformare la quarantena in un’occasione di crescita (e sicuramente può esserlo stato), essa ha rappresentato soprattutto una prolungata fonte di stress per tutti noi.
Stress: eustress e distress
Lo stress entra come concetto nell’ambito della salute agli inizi del ‘900. Lo psicologo Hans Seyle usa il termine mutuandolo dalla fisica – dove viene utilizzato per indicare lo sforzo cui viene sottoposto un materiale per misurarne la robustezza – per definire la risposta non specifica dell’organismo a ogni richiesta effettuata su di esso.
Questa definizione di stress rimane a oggi valida, con la chiara distinzione tra eustress e distress.
L’eustress, letteralmente stress buono, è la quantità giusta di stress al fine di mantenere alta l’attenzione, restare motivati e migliorare la nostra prestazione, non stupisce che sia solitamente accompagnata da sentimenti positivi.
Il distress, invece, è lo stress negativo, in cui l’attivazione è talmente alta che è come se ci ‘ingolfasse’ la mente. E se la mente si ingolfa, va in confusione, prova ansia e preoccupazione: ne risultano pensieri e comportamenti inefficaci. Tutto questo genera ulteriori ansia e preoccupazione, e così finché la mente e il corpo reggono.
Allo stress causato dalla quarantena si aggiunge quello di contrarre il virus: un’entità invisibile e smisuratamente minacciosa, che non ha smesso di farci paura. Nel nostro cervello animale qualsiasi minaccia alla salute e alla vita genera stress e ansia, ma quello che quasi nessuno sa è che stress e ansia sono potenti ed efficaci armi che si sono raffinate e perfezionate in millenni di evoluzione.
Ansia e stress: due potenti alleati della nostra salute
Una pandemia, come questa da Covid-19, può essere annoverata a buon diritto tra le minacce concrete alla nostra vita, sia come persone, che come specie. Quando abbiamo compreso quanto minaccioso fosse il Covid-19, il nostro cervello animale si è risvegliato, richiamato alla vitale funzione di metterci in guardia dai pericoli e di proteggere la nostra vita, ha sguainato la sua migliore arma: l’ansia. Adesso tutti sentiamo l’ansia.
Chi più chi meno, sentiamo tutti questa strana, a tratti fastidiosa, e a tratti energizzante eccitazione. Una tenue e costante corrente ci attraversa il corpo, a volte anche di notte. I pensieri si susseguono rapidamente, accordandosi più con i timori del pessimista che con le speranze dell’ottimista. Così anche l’umore, percorso da una sottile, flebile angoscia. Anche mangiare può non soddisfarci più come prima, e per quanto possiamo dedicargli tempo e calma, una strana fretta, come se fossimo rimasti indietro, detta il tempo.
Tutto questo è normale. Non solo è normale, è sano: la nostra mente sta funzionando bene, e il nostro cervello sta funzionando perfettamente.
Abbiamo, si spera, scongiurato una catastrofe, e non ne siamo ancora del tutto fuori (basta guadare gli USA, l’America Latina e l’Africa). E seppure ne fossimo fuori dal punto di vista sanitario, non ne siamo certamente ancora fuori da quello economico. Non possiamo dimenticare ciò che è stato, non possiamo negare ciò che sarà. Non possiamo fingere che questo non sia un momento importante per la nostra sopravvivenza, personale, sociale, di specie. Se il nostro cervello oggi dimenticasse o negasse, dovremmo rivolgerci a uno specialista, perché vorrebbe dire che non sta funzionando come deve. E se il cervello oggi ci facesse sentire una lieve ansia, non dovremmo cercare di spegnerla mediante i farmaci, almeno non prima di aver valutato le reali minacce e, soprattutto, di averne cercato e trovato le possibili soluzioni.
Ansia da Covid-19 e farmaci: cosa fare?
La decisione da parte di alcune case farmaceutiche, in questo momento di emergenza, di offrire insistentemente, su tutti i canali mediatici, farmaci contro l’ansia, anche lieve, appare, oltre che una trovata chiaramente commerciale, anche una scelta culturale dannosa.
Ogni volta che uno spot oggi ci propone un farmaco per sconfiggere l’ansia, sta diffondendo il messaggio che l’ansia è male, che chi è ansioso è inadeguato e che la scelta giusta non è ascoltare cosa ci vuol dire, ma ridurla al silenzio, anestetizzarla.
Tutto ciò non sorprende, dal momento che si inserisce all’interno di un processo di acculturazione mediatica, le cui radici affondano nella rivoluzione industriale e che demonizza le emozioni negative e il dolore, imponendo un obbligo di gaiezza e leggerezza cui l’uomo moderno deve sottostare, per dirsi al passo coi tempi, per sentirsi parte della Società.
Il prezzo da pagare per questa inclusione ad ogni costo nel mondo sociale è l’inesorabile estraniamento dalla Natura, che, abbandonata, abbandona anche noi.
Prof. Giuliana Lucci
Neuropsicologa e Psicoterapeuta