Perché ci annoiamo?
Conosciamo la noia come il sentimento che insorge quando non siamo sufficientemente stimolati. Ma come si spiega che essa insorge anche in persone e contesti nei quali tali stimoli sono presenti in misura eccessiva?
Heidegger dice che la noia, di cui riconosce almeno tre forme, deriva dal fatto che ogni ‘Esser-ci’ ha il suo tempo (Essere e Tempo, 1927).
La noia con l’Altro
Questa prima forma arriva quando siamo di fronte ad un improvviso dilatarsi del momento. Questo accade, ad esempio, quando si attende a lungo il treno in stazione. Questo dilatarsi svuota il tempo dalla pienezza degli oggetti. Ed è allora che sorge la noia, sintomo che nel suo modificarsi il tempo ci ha lasciati “privi di mondo”. È un tempo pesante, che ci tiene in sospeso e trattiene, senza nemmeno la consolazione né la distrazione delle cose, che si negano al loro solito uso. Questa noia è paralizzante.
La seconda manifestazione è meno intuitiva, perché è generata dal totale abbandono alle cose, per cui esse appaiono insignificanti, nonostante l’appagamento estetico che ci offrono. Lo scenario familiare a tutti è quello di una serata tra amici. Partecipiamo volentieri alle serate con gli amci, vi ci immergiamo con il desiderio di “perdere il tempo”, di allontanarci dallo scorrere dell’esistenza, e da noi stessi. Partecipare passivamente al fluire degli eventi che hanno luogo attorno a noi toglie l’inquietudine – la spinta – del cercare.
Qui il tempo si mostra, ma non scorre; offre un appagamento superficiale, che lascia inascoltate le più intime esigenze, e genera insoddisfazione.
La noia per vivere
L‘altra forma di noia descritta da Heidegger ha una dimensione esistenziale: siamo abbandonati da un mondo che non ci rappresenta più, ma che ancora conserva le chiavi di lettura di ciò che proviamo.
Questa è la noia autentica, più profonda, che si presenta quando siamo soli: questa noia assoluta è anche la più salvifica, perché, in qualche modo, ci protegge dall’invadente vuoto in cui ci troviamo e perché rivela l’uomo nella sua totalità, avvicinandolo alla finitezza delle relazioni e, quindi, alla morte. Quando ciò accade, ci si sente svuotati dalla frenesia e dall’affaccendarsi “mondano”.
L’annoiarsi e il tempo
Il tempo è ciò che rende possibile la nostra esistenza e le dà un senso. È ciò che accomuna tutte le forme di noia che, come altre emozioni (i.e., ansia, angoscia, malinconia, ecc.), sono esperienze che vanno vissute, anche se per pochi istanti, nella solitudine della propria intimità.
Nella nostra società, dove si dev’essere sempre pronti e accessibili, dove siamo spesso affannati, stipati da cose e da persone, affaccendati e in perenne movimento, c’è ancora spazio per questa potente compagna esistenziale che è la “noia per vivere”? siamo capaci di vivere la noia che si fonda contemporaneamente sulla solitudine e sul vivere il proprio tempo?
Perché la si teme? Non sono forse proprio i momenti in cui ci si annoia che permettono di dare senso all’esistenza? di aprirla e renderla possibile? di farci comprendere dove siamo diretti?
Secondo Heidegger, e anche secondo me, sì: la noia, a differenza di ciò che si crede, non paralizza, ma muove, ci affranca dalle possibilità nulle e ci rende liberi per quelle autentiche.
E allora, forse, una volta ogni tanto ognuno di noi dovrebbe annoiarsi o, almeno, provare a concederselo.
Psicologa – Psicoterapeuta